L’art. 167 (Ordine di rimessione in pristino o di versamento di
indennità pecuniaria) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, al comma 4 prevede
che l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità
paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei casi indicati
(per i lavori, realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione
di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente
realizzati; per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione
paesaggistica; per i lavori comunque configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380); il comma
5 consente al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo
dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4
di presentare apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del
vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica
degli interventi medesimi che, qualora venga accertata, comporta il
pagamento di una indennità pecuniaria equivalente al maggiore importo
tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la
trasgressione.
Come ben considerato dal primo giudice, nella vicenda in esame la
Soprintendenza ha indebitamente dichiarato improcedibile l'istanza di
accertamento della compatibilità paesistica, evidenziando in motivazione
che le opere non rientrano nella casistica prevista dall'articolo 167,
comma 4, lettere a) e c) del decreto legislativo n. 42 del 2004, perché:
"hanno comportato anche la realizzazione di volume ex novo, con
conseguente incremento della volumetria legittima".
Non appare dubitabile in punto di fatto che in termini edilizi ed
urbanistici – vale a dire, secondo il il linguaggio e i parametri che,
seppure incongruamente rispetto al contesto, usa l’art. 167 – il torrino
di cui si verte sia un volume tecnico, perché servente all’ascensore.
Ne consegue che, proprio per il detto rinvio alle categorie evocate
dalla disposizione, la Soprintendenza avrebbe dovuto non già dichiarare
l’intervento senz’altro non rientrante nelle fattispecie dell’art. 167,
bensì procedere alla sua valutazione in concreto e postuma di
compatibilità paesaggistica (in quanto, al contrario, rientrantevi
perché accessivo a quelle stesse categorie). Sarebbe stato cioè
necessario, data la natura di volume tecnico, procedere a un concreto
accertamento di compatibilità paesaggistica, con una valutazione
effettiva e concreta rispetto ai valori tutelati.
Non può dunque essere condiso l’assunto dell’Amministrazione, che
addebita ancora alla sentenza la pretesa di riscontrare la
corrispondenza tra l’ambito urbanistico e quello della tutela
paesaggistica sulla base della fallace nozione di "volume tecnico",
laddove invece l'introduzione legislativa di concetti quali "superfici
utili" o "volumi", in un ambito normativo che attiene solo e soltanto
alla tutela del paesaggio non può che aver riferimento, per l'appunto,
"a quelle superfici utili o a quei volumi idonei ad apportare una
modificazione alla realtà preesistente, tale da arrecare un "vulnus"
agli interessi superiori di tutela del paesaggio".
L’impostazione, che fonda sulla separatezza delle nozioni tecniche di
"superfici utili" e "volumi tecnici" a seconda della loro diversa
applicazione nel campo urbanistico o in ambito paesaggistico nel quale
ogni modificazione alla realtà preesistente determina "di per sé vulnus"
agli interessi superiori di tutela del paesaggio, non è suscettibile di
condivisione alcuna.
In realtà, le nozioni tecniche in questione non sono specificate dal
Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma solo dalle normative sulle
costruzioni (in via esemplificativa e non esaustiva, circolare del
Ministero dei lavori pubblici 23 luglio 1960, n. 1820; artt. 5 e 6 d.m. 2
agosto 1969; art. 3 d.m. 10 maggio 1977; art. 1 d.m. 26 aprile 1991;
art. 6 d.m. 5 agosto 1994), dove la superficie utile (SU) coincide -in
estrema sintesi- con l’area abitabile (superficie di pavimento degli
alloggi misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani
di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge e balconi)
mentre per superficie accessoria (SA) si intendono le parti
dell’edificio destinate ad accessori e servizi (cantine, locali
tecnologici, vano ascensore e scale, terrazze, balconi, logge e
quant’altro).
A sua volta il volume degli edifici, espresso in metri cubi vuoto per
pieno, è costituito dalla sommatoria della superficie delimitata dal
perimetro esterno dei vari piani per le relative altezze effettive
misurate da pavimento a pavimento del solaio sovrastante; il volume
tecnico si riferisce alle opere edilizie a servizio dell’edificio, che
hanno una funzione strumentale, anche se necessariamente essenziale, in
relazione all’uso della costruzione principale, senza assumere il
carattere di vani chiusi utilizzabili, quali sono in genere gli
accessori e per l’appunto la colonna ascensore.
Dunque, come già ritenuto da questa Sezione del Consiglio di Stato (Sez.
VI, 31 marzo 2014, n. 1512), "la nozione di ‘volume tecnico’, non
computabile nella volumetria ai fini in questione, corrisponde a
un’opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo
potenziale, perché è destinata a solo contenere, senza possibilità di
alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto
contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per
essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima. In sostanza, si
tratta di impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non
possono essere in alcun modo ubicati all'interno di questa, come possono
essere -e sempre in difetto dell’alternativa- quelli connessi alla
condotta idrica, termica o all'ascensore e simili, i quali si risolvono
in semplici interventi di trasformazione senza generare aumento alcuno
di carico territoriale o di impatto visivo".
Quindi non può essere ipotizzato - nella locuzione "superfici utili o
volumi ovvero aumento di quelli legittimamente autorizzati" -
un’accezione in termini atecnici o eccedenti il loro significato
specialistico, per giungere senz’altro alla conclusione di un’astratta
preclusione normativa rispetto a una valutazione che va invece
ragionevolmente espressa in funzione della essenzialità del vano corsa
dell’ascensore: per modo da porlo in concreta ed effettiva relazione
(avuto riguardo anche alle reali dimensioni), ai fini del successivo
giudizio di compatabilità paesaggistica, rispetto al contesto
paesaggistico tutelato.
venerdì 5 dicembre 2014 18:25 - www.gazzettaamministrativa.it)
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 1.12.2014
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